Da quando, il primo di gennaio del 2012 ho smesso di fare il mio lavoro "per raggiunto limite di età" ho dovuto abbandonare molte consuetudini che prima cadenzavano e riempivano il mio tempo e focalizzavano le mie energie e il mio impegno e nello stesso tempo sono entrato in una nuova fase di apprendimenti accelerati.
Ogni cambiamento significativo della vita rende obsolete molte informazioni, abilità, competenze che ci davano una certa sicurezza e prevedibilità nei nostri comportamenti, nelle aspettative degli altri, nelle nostre stesse aspettative e ciò crea inevitabilmente un qualche tipo di sbilanciamento anche perché, insieme, cessano anche i rapporti con le persone con cui queste competenze erano condivise. In una certa misura muori, tanto più se avevi vissuto la tua vita precedente con passione ed entusiasmo, come una trasmissione e uno scambio di valori. Penso che questa morte - e il portato di vulnerabilità che essa comporta - vada guardata in faccia, non vada ignorata, vada vista come una opportunità di distacco, di alleggerimento. Penso che dobbiamo arricchirci dell'esperienza della nostra vulnerabilità. Nello stresso tempo, quasi senza interruzione, è necessario dischiudersi alla disponibilità di gestire situazioni nuove, per noi spesso inedite, sia che siano il frutto di una meccanica quieta invasione di piccole incombenze che svolgevi pure prima ma cui avevi dedicato scarsa attenzione, sia che si tratti di nuovi impegni e nuove attività. Non tutti affrontano nello stesso modo questo cambiamento. Per molti è faticoso, stressante, umiliante. Quanti uomini, rimasti soli per la perdita del proprio coniuge, non riescono ad imparare a cucinarsi neppure un piatto di pasta, o a stirarsi una camicia, o si sentono sminuiti a farlo, oppure quante donne si trovano ignoranti e incapaci ad affrontare questioni burocratiche o amministrative? Quante persone che hanno avuto un incidente devono imparare di nuovo a camminare? In generale, quanti uomini e donne hanno grandissime difficoltà a seguire i cambiamenti tecnologici che rendono molto meno efficaci le loro conoscenze e i loro comportamenti? Ci si sente di nuovo analfabeti, cioè non più in grado di svolgere le mansioni quotidiane che consentono di essere membri attivi e responsabili della comunità e della famiglia in cui si vive.
Negli ultimi decenni abbiamo, volenti o nolenti, imparato a considerare che non una, ma più volte nel corso della nostra vita dobbiamo esercitare la virtù del distacco e impegnarci a imparare cose nuove, a riscoprire e mettere alla prova noi stessi in modo e in ambienti nuovi. La parola d'ordine che domina in questo campo ormai da anni è quello dell'apprendimento continuo per tutto l'arco della vita (life long learning). Significa che per poter (continuare ad) essere persone consapevoli, cittadini e lavoratori competenti, uomini e donne responsabili delle nostre azioni, dobbiamo essere in grado di stare dentro un processo di apprendimento continuo, che non si arresta mai. Quando poi ci sono dei cambiamenti radicali nella propria vita (voluti o non voluti, indesiderati o anche desiderati) la nostra capacità di cambiare e di imparare cose nuove, di entrare in un nuovo periodo di apprendistato, diventa critica. Comunque, siamo sempre, almeno in parte, neofiti.
Essere neofiti è elettrizzante, perfino entusiasmante, e anche frustrante. Elettrizzante perché il fatto di imparare cose nuove stimola la curiosità, risveglia le nostre capacità latenti, produce impegno e dà una sensazione di fioritura, apre nuove opportunità, crea situazioni inedite che ci fanno scoprire cose nuove di noi stessi, permette di intessere nuove relazioni: insomma è l'occasione per ricominciare a sognare è una scarica di energia. Frustrante perché all'inizio dei nuovi percorsi si ridiventa ignoranti, impacciati, le cose da imparare ti sembrano troppe (non ce la farò mai!), diventi l'ultimo arrivato e temi di essere giudicato male. La frustrazione può spingere a scappare, a rinunciare, a gettare la spugna. In questa fase è importante sapere come vivere la nuova situazione di apprendistato e di noviziato, riuscire a non scoraggiarsi, imparare a fare un passo dopo l'altro senza fretta e senza abbattersi, saper vedere i passi avanti compiuti.
Per vivere ogni fase della propria vita come nuova, occorre imparare con umiltà cose nuove e quindi avere le motivazioni necessarie, proporselo quindi, questo apprendimento, individuare il livello sostenibile delle nostre aspettative, avere la giusta scala su cui valutare i nostri sviluppi, i passi avanti compiuti.
Non c'è dubbio che in tutto ciò l'ambiente conta moltissimo. Se l'ambiente è un learning environment, un ambiente in cui l'apprendimento è incoraggiato, apprezzato e quindi rispettato e stimolato, si è molto facilitati. Purtroppo spesso non è così e quindi occorre avere al proprio interno la forza e l'energia per non farci scoraggiare dall'ambiente e sapere come sfruttare al meglio ciò comunque che l'ambiente ci offre, anche con una certa ironia (sempre utile saper sorridere!). Aiuta sempre però trovare dei maestri.
In questo periodo di mio orientamento alla condizione di pensionato (o "diversamente attivo") ho attraversato diverse fasi, e ognuna di esse ha rappresentato una sfida che ricercavo perché solo impegnandomi in nuove curve di apprendimento potevo sfruttare al meglio le nuove opportunità che mi si aprivano: il primo passo l'ho compiuto passando dal PC al MAC: cambiare "ambiente" era un modo per rompere delle abitudini consolidate e date le caratteristiche grafiche del MAC ciò significata anche entrare in un ambiente tecnologico che simbolicamente segnava un passaggio "estetico" e mi imponeva di imparare nuove routine, poi ho aperto e seguito questo blog, imparando poco per volta. In queste due svolte ho trovato sempre qualcuno che mi ha aiutato, che mi ha dato i consigli utili ed ho avuto un piccolo riscontro (la settimana scorsa ho superato i 2000 link dall'inizio dell'anno e per quanto siano una piccola cosa, sono un conforto in questo sforzo). E poi mi sono lanciato in tante cose, la scrittura e la lettura disordinata, onnivora, forsennata ed entusiasmante di scrittori diversissimi, da Irène Némirovsky a Antonio Tabucchi, da Chuck Palahniuk a Giorgio Fontana, da Lurent Mauvigner a... Dickens: passare da uno stile di scrittura e di narrazione ad un altro radicalmente diverso è un vero sballo, sollecita l'attivazione di registri diversi di sensibilità e di espressione, riattiva gamme di emozioni che si erano quasi atrofizzate, risveglia l'attenzione. Poi ho cominciato a fare tante foto a San Francisco, a Boston, in Cornovaglia, in Val d'Aosta, mi ha ripreso la vecchia passione della fotografia, una delle passioni che non ho coltivato sufficientemente nella mia vita. Mano a mano che mi entusiasmavo della meditazione che ogni scatto comporta, della sintesi potente che ogni scatto (e il lavoro su di esso) produce, mi rendevo conto dei miei limiti e desideravo andare oltre. E allora per una serie di coincidenze (queste coincidenze!) ho saputo di un corso organizzato dalla rete Shoot for Change (S4C). Il corso mira non solo a insegnare le tecniche di base della fotografia ma è animato da una visione: il reportage sociale, fare foto per raccontare storie. In particolare storie positive (apprezzative) legate al mondo del volontariato, rifuggendo dalla tentazione dell'esotico e del virtuosismo.
Ho fatto già due incontri e la prima uscita in gruppo. Su questa spinta ho cominciato a viaggiare in internet perdendomi tra corsi e siti fotografici. Il mondo della fotografia è veramente enorme, ma anche ispirato a valore democratici e ad un grande apprezzamento per l'apprendimento, un mare di giovanissimi e di meno giovani accomunati da una passione comune. Se considero la mia curva di apprendimento di questa settimana posso dirmi molto soddisfatto. Naturalmente mi sento ancora una assoluta nullità, la spontaneità con cui ho scattato migliaia di (meravigliose!) foto negli ultimi mesi grazie dall'automatico, tornando al manuale si è all'inizio come bloccata. Ma piano piano ho riprovato il piacere di combinare i valori del diaframma e dell'obbiettivo scorrendo con le dita sulle ghiere. Alla fine del corso dovrò fare un reportage fotografico ed ho già delle proposte! Forse il mio occhio "sociologico" riuscirà ad esprimersi con i nuovi mezzi espressivi. Sono entrato in una nuova curva di apprendimento in cui conoscenza, etica, estetica e relazioni possono alimentarsi a vicenda sostenuti da una nuova competenza tecnologica. E in questo percorso ho trovato persone che mi sosterranno e con cui, soprattutto, potrò condividere l'impegno e l'esperienza. I nuovi apprendimenti e l'entrata in nuove reti fa tutt'uno. Da tutto ciò ricevo una carica di energia che spero di ricambiare a breve.
La cosa più semplice ed efficace che posso fare è come sempre dare dei link.
A Roma, a cura di MACRO si sta svolgendo l'XI festival internazionale della fotografia dedicato al lavoro (ai lavori): Works
Inoltre, ricordo la recente scomparsa di una grande figura internazionale del reportage fotografico: Michelle Vignes
Un'ultima considerazione su cui penso di riflettere nel prossimo post. In questo percorso, e grazie anche alla mia particolare esperienza, sto avendo modo di ripensare al rapporto complesso e fertile tra professionalismo e volontariato.
Quello che scrivi mi ricorda la mia esperienza americana, quando lo studio e le esperienze culturali mi sembravano meravigliose e terrorizzanti. E il senso di alleggerimento era dato dal disfarsi di una identita' e di una lingua madre, per esplorare altri aspetti di me. Per il reportage fotografico, non e' che ti va di venire a Milano?
RispondiEliminaSi, bisogna superare la prima frustrazione con la fiamma della curiosità e della esplorazione. Per il reportage, bisogna anche pensare alla sceneggiatura :-))) Domani terza lezione.....
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