(foto franciscus)
Innanzi tutto auguri a Stefano Rodotà per i suoi 80 anni. Per ragioni non solo anagrafiche mi sento più vicino alla generazione degli ottantenni che a quella dei sessantenni, pur essendo a metà tra i due gruppi generazionali. Quando preparai la tesi di laurea in filosofia del diritto (siamo nel lontano 1966) dedicata all'importanza che ricopriva nel percorso della democrazia l'inserimento del lavoro nelle costituzioni democratiche moderne, quella italiana in primo luogo, naturalmente, con il suo famoso "articolo 1", già allora Rodotà (il trentenne Rodotà) era un punto di riferimento intellettuale e civile per noi studenti di giurisprudenza desiderosi di comprendere come impegnarci per tradurre la costituzione in pratica, perché i principi non basta mica enunciarli, ma bisogna lavorarci giorno per giorno in un percorso senza fine perché appena ti sembra di aver raggiunto l'obbiettivo, l'obbiettivo si sposta. Lo sapevamo già nei ruggenti anni '60. Alla manifestazione convocata dalla Fiom a piazza S. Giovanni ha parlato anche Rodotà, portando un filo di ragionamento solido come l'acciaio, parlando di diritti sociali, di come la democrazia non possa essere staccata dalla difesa e l'ampliamento di questi riditti e dei diritti collettivo, parlando anche di una nuova frontiere e una nuova sfida per il sindacato.
Già in un post precedente ho parlato della grande mistificazione (non so se incompetente o ignorante o in malafede) di vedere nella "rete" una frontiera avanzata della democrazia. Se c'era bisogno di sputtanare questa idea una volta per tutte ci ha pensato Grillo e il Movimento 5 Stelle. Usata in questo modo la rete funziona come le bolle speculative, non produce idee e conoscenza, le macina e le sfrutta con velocità incredibile sostituendo l'agorà (dove si costruisce faticosamente la cittadinanza attiva) con la rissa e il comportamento tipico delle folle (virtuali, cioè ancora più volatili e irresponsabilmente violente, buone a decapitare o assaltare i forni ma incapaci di produrre il nuovo).
Nello stesso tempo, quante nuove forme di democrazia stanno nascendo, non solo in Italia, anzi soprattutto fuori d'Italia, dalle nuove forme del "fare" che riescono a valorizzare e difendere l'importanza e la preziosità dei beni comuni nei tanti territori devastati da tanti anni di rapina e appropriazione selvaggia, e intorno a questi nuovi nuclei riscoprono l'utopia moderna di un mondo di nuove relazioni che parte da un nuovo modo di concepire il lavoro, di fare impresa, di produrre valore. Per rimuovere i massi sulla strada di queste nuove utopie occorrono non solo istituzioni amiche, ma un nuovo modo di "fare istituzione", una nuova istituzionalità che sia facilitante, apprezztiva, delegante e dialogante. E' il terreno in cui vecchie forme di democrazia ancora fondamentali (penso alla rappresentanza e alla democrazia rappresentativa) devono intrecciarsi in modo virtuoso con altre forme di partecipazione e di voce, altri modi di costruzione delle decisioni e delle scelte, altre forme di espressione di desideri e bisogni. Poiché la nostra società è "complessa", ha bisogno di una democrazia "complessa", cioè insieme articolata, inclusiva, e semplice. E' un grande e appassionante terreno di innovazione sociale in cui le nuove tecnologie di comunicazione possono fornire un potente aiuto se gestite con una competenza che sembra scarseggiare anche tra i suoi presunti guru. Senza di questo la rete funziona solo come una forma (vecchia) di marketing.
Spazio ad anfiteatro gestito dalla cooperativa sociale Utopia 2000 (www.utopia2000.net), che negli ultimi 10 anni ha trasformato il paese di Bassiano (LT) in Borgo Solidale coinvolgendo nelle imprese sociali che da questo lavoro sono gemmate tutta la popolazione a partire dai giovani, con una grande capacità di inclusione.
(foto franciscus)
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