Mi sono messo in questa storia della responsabilità e non voglio lasciarla per aria, anche se meriterebbe molto di più di questi appunti di un blog. Continuando il post precedente, si fa presto a dire comunità.Se la comunità non è ascritta (non sono le famose radici) ma devo costruirla come faccio? Anche qui negli Stati Uniti naturamente è un problema. Ma mi colpisce la differenza di concetti. Quale è la differenza tra quartiere e nearbohood, tra community e territorio, tra citizenship e cittadinanza e come queste sfumature danno luogo a diverse istituzioni della responsabilità? Idem per la parola covenant, patto. Uno dei principi base della responsabilità giuridica è "pacta sunt servanda". I patti vanno rispettati, è il fondamento della responsabilità contrattuale, una volta bastava la stretta di mano (all'interno di circuiti di visibilità dove non potevi rovinarti la faccia). La responsabilità reciproca è la base della fiducia reciproca. Anche di questa ce ne troviamo poca in Italia e lo smottamento viene giù, giù. Poiché ci aspettiamo che gli altri non sono responsabili anche noi tendiamo ad essere poco reponsabili. Ecchésofesso? Da chi ha più potere a chi ne ha di meno a chi non ce l'ha, dai vecchi a chi ha mezz'età ai giovani...o viceversa. In questo modo la connessione sociale si scardina e il controllo sociale richede sempre più burocrazia, imposta o "volontaria" e questo crea sempre meno responsabilità. L'affidabilità diventa un attributo dei sistemi presunto, spesso iporita, non delle persone. Delle persone non ci si fida più ma non perché ci aspettiamo che siano malvage ma perché pensiamo che sono "leggere" (liquide?). La responsabilità è forza di gravità, che resiste alla corrente. Dovremmo ritrovarla, ma come, se tutto scorre e la nostra capacità di sopravvivenza si basa sul surfing? In questa situazione, privati della responsablità, la responsabilità diventa senso di colpa, responsabilità per cose di cui non abbiamo colpa, responsabilità senza potere, frustrazione, angoscia, ansia. E' possibile costruire una responsabilità basata sull'empowerment? Credo che la strada maestra sia la consapevolezza della connessione. Potremmo chiamarla una responsabilità ecologica (non solo come responsabilità verso l'ambiente, che ne è una parte, ma come responsabilità sistemica. Da anni di questo si parla ma perhé si crei una mutazione genetica della civiltà e della cultura di questa portata ci vuole del tempo.... purché non avvenga fuori tempo (massimo). Avevo promesso una nuova colonna sonora e mi affido di nuovo a Tony Scott: Is Not All One?
http://www.youtube.com/watch?v=8QUwnJHx0EM
Troppo forte, non è vero? Forse è meglio dire che la RE (responsabilità ecologica) apre la strada perché scienza e arte ecc. ecc. si fondano? Ci devo lavorare ancora.
Ho trovato un riferimento bibliogafico "fresco fresco" (per me, avendolo scoperto l'altro giorno nella libreria COOP di Harvard Squar':
N. A. Christakis, J. H. Fowler, Connected, Little, Brown and Company, New York, 2009.
Christakis spiega il concetto http://www.connectedthebook.com/ con intervento you Tube in TED e su internert si trovano diversi link Christakis e al suo studio sulla forza e la ampiezza di propagazione delle interconnessioni che esistono tra le persone. Ciò rimanda al principo buddista che "siamo responsabili dei nostri pesieri" come una via di consapevolezza e nello stesso tempo di empowerment, perché essere responsabili significa essere consapevoli del potere che ognuno di noi ha sull'ambiente. Stavo scrivendo "sul proprio ambiente": vedi come è facile dire "proprio" e in questo modo inquinare l'ambiente?
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