giovedì 10 gennaio 2013

Attenti all'etica!




L'etica è una bella parola, ci piace, sa di buono e di giusto. La mancanza di etica ci sembra uno dei maggiori segni del degrado in cui le relazioni sociali e politiche stanno sprofondando. Tuttavia non possiamo ignorare l'ambiguità e la pericolosità di questa parola facendo finta di non sapere che molte delle azioni più terribili commesse nella storia sono state impregnate di una forte valenza etica, in nome di valori supremi. Il ventesimo secolo, in particolare, è stato pieno di queste nefandezze, quando la qualifica di etico è stato attribuito agli stati totalitari. Il nazismo, il comunismo (dei gulag e della polizia segreta, quello di Stato), Pol Pot e i Khmer Rossi, non sono forse stati animati da una furia etica che ha travolto ogni resistenza di senso comune? Perché l'etica questo può fare, in certe condizioni, abbassa le difese critiche degli individui e della società. L'idea di "Stato Etico" è un mostro dell'epoca moderna,  connubio immorale  tra etica e progresso, ovvero tra etica e storia, quella appunto lineare e presuntamente progressiva, e così tutta la sequela di figli mostruosi che ha generato. Le rovine che l'angelus novus di Khlein guarda mentre il vento impetuoso della storia lo spinge verso un futuro che non vede sono le rovine che sistemi etici hanno generato, facendo sintesi con la stupidità, le utopie, le follie del ventesimo secolo.
Ma anche l'Etica senza storia, quella delle fedi e dei principi senza tempo e senza condizioni non ha scherzato. Qui dobbiamo usare la maiuscola. Non è forse in nome di una battaglia etica che sui due fronti si scontrano i "difensori della vita" e i difensori dei diritti della persona per quanto riguarda l'interruzione volontaria della gravidanza o il diritto a una morte buona e dignitosa? E furiosi scontri etici sono quelli che spingono centinaia di giovani a suicidarsi o uccidere in nome di una guerra santa non solo perché religiosa, ma perché, così come il mostruoso rapporto tra etica e storia, anche la congiunzione tra etica e politica ha prodotto mostri, che usiamo bollare, oggi, con il nome di integralismi, per comodità, che però nascono, in un modo o nell'altro, lì. E anche la congiunzione dell'etica con la religione, con le fedi, ha prodotto mostri. Certo questa affermazione può suonare paradossale visto che moltissimi ritengono che senza religione viene meno ogni fondamento dell'amento dell'etica, ma  io preferisco pensare che, all'opposto, la religione possa esprimere un bisogno etico profondo. Se si scambiano i termini della questione si trasforma il bisogno etico in Etica.  
Come la Brown (politologa statunitense autrice di La politica fuori dalla storia, Laterza, 2010) sostiene giustamente - e, a mio avviso, molto provocatoriamente - che anche l'indignazione che anima oggi tanta "antipolitica" è frutto del collasso dell'etica nella politica, è sorellastra a suo modo degli integralismi e cugina dei totalitarismi. Certamente in molti ci sentiamo indignati,  offesi, da tanti comportamenti, e il problema morale che ci fa gridare "è ingiusto!" c'è tutto. Ma è innocuo far precipitare questa indignazione nella politica chiedendo alla politica, all'azione politica di farsi arma dell'etica?  (tra parentesi, ho visto il bel film La regola del silenzio di Robert Redford, dove si inseguono non solo persone ma valori ed etiche diverse, con i loro dilemmi, che costituiscono contemporaneamente il punto dinamico di aggancio e di divisione dei personaggi). Attenti all'Etica! mi viene da dire, come nella canzone di Brassens ripresa dal grande Fabrizio: attenti al Gorilla!
Oggi tutti sentiamo di vivere in una emergenza etica perché si sono frantumati i pilastri sui quali poggiava tutto l'edificio valoriale ed epistemologico dell'occidente, con le sue architetture, le sue cerimonie e le regole della quotidianità: orfani dell'etica guardiamo sbigottiti le rovine e non ci vogliamo credere. Forse dovremmo elaborare il lutto.
L'etica è diventata le etiche. I codici deontologici sono il tentativo di acchiappare il gorilla per la coda. Ciò che conta sono diventate le etiche che stanno dentro le regole che seguiamo per prendere le decisioni, professionali o no, i criteri che adottiamo per valutare, prognosticare, prevedere. Le etiche si sono trasformate in metodologie. Ogni disciplina, ogni professione, ogni campo di attività ha le sue etiche nascoste, incorporate nelle tecniche, nei sistemi di carriera, negli assunti epistemologici. Qualche anno fa organizzai all'Università Sapienza di Roma un seminario sui dilemmi etici nei mondi professionali, cui parteciparono un'ottantina di rappresentanti di molte associazioni professionali. Ho l'impressione che molti considerassero l'argomento provocatorio e sconveniente. Altri invece colsero appieno il senso del tema, fornendo vividi racconti dei dilemmi quotidiani. L'immagine del professionista come tecnico il cui principale merito è "sapere" fa parte ancora del mito. Guai far trasparire che in realtà ogni volta scegli un compromesso, discutibile come tutti i compromessi! Finisci per crederci che i tuoi piedi poggiano su solida roccia, a meno che non guardi da vicino come decidi  ogni giorno. Eppure è sempre più attuale il monito di Donald Schon (Il professionista riflessivo, Dedalo, 1993) che nella realtà i professionisti annaspano tutto il tempo nella palude delle decisioni imperfette, dei dilemmi  tra codici professionali diversi, delle priorità discutibili e, naturalmente, delle razionalità limitate. Attenti all'Etica, cioè a non prendere sul serio i propri e gli altrui dilemmi, a chiudere le porte alle ragioni degli altri, a ciò che per noi e per gli altri ha valore. L'attualità della questione etica significa anche partire da qui, dall'etica delle scelte dilemmatiche, dialogiche, riflessive, contestuali, senza volare via nell'incoscienza della durezza delle scelte che si compiono o che si impongono in nome dell'etica.



Questa foto come le due successive sono ispirate da un graffito disegnato su un muro di via dei Sardi a Roma per celebrare le vittime del continuo femminicidio in corso sul nostro pianeta. Ad ogni sagoma è apposto un nome, il nome di una donna assassinata, e tutte queste donne si tengono per mano in una sequela infinita davanti alla quale i passanti e il traffico urbano scorrono come ectoplasmi o ombre.




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