Praticare la fotografia aiuta ad osservare ciò che ci circonda e che accade intorno a noi, a scoprirlo, amarlo, e ad esprimere la sorpresa per ciò che scopriamo. Ogni foto ha una storia e racconta una storia. Si scopre così che non occorre andare lontano per trovare cose, persone e storie meravigliose.
Ain Karim è una casa famiglia di Roma, sulla Tiburtina, che ha celebrato quest'anno vent'anni di vita. Io sono entrato in rapporto con questa realtà come fotografo, nel 2015, quando ho collaborato per il nuovo sito della casa famiglia (www.ainkarim.it) e sin dall'inizio mi ha colpito l'atmosfera di calore e semplicità che vi si respira. Poi ho imparato che essa è il risultato, spesso faticoso e impegnativo, del lavoro quotidiano di tante persone e di tante sensibilità e disponibilità. Ad ogni momento, giorno dopo giorno, esse cercano la strada giusta per accogliere la sofferenza, l'ingiustizia, la solitudine e l'abbandono, elaborarli e trasformarli in rispetto, forza, consapevolezza, amore per sé e per gli altri, apertura e disponibilità alla vita. Credo che di avere capito anche che questa atmosfera speciale è soprattutto il risultato del fatto che in Ain Karim si percepisce in modo chiaro la centralità del punto di vista dei bambini: chi entra in Ain Karim impara che deve farsi piccolo accanto ai piccoli e diventare così capace di ascoltare la loro voce, di apprendere da loro e, così facendo, crescere lui stesso per aiutarli a crescere e dare loro una nova opportunità. Si ha l'impressione fortissima di essere presi per mano da loro e diventare così, con questo semplice gesto, loro....zii.
Scoprire e restituire immagini che potessero riflette questa atmosfera è stata una sfida che ho cercato di raccogliere con la semplicità, la fiducia e quel pizzico di incoscienza che avevo trovato in Ain Karim. Alcune di queste foto sono state esposte nella mostra dove si è svolta la festa per il compleanno di Ain Karim. Qui ne pubblicherò sette che penso siano nella loro semplicità eloquenti.
La foto che accompagna in apertura questo post ha una storia particolare perché è stata scattata una sera con la mia macchina fotografica e seguendo le mie indicazioni tecniche da S., una giovane ospite di Ain Karim. In questo modo la tecnica del fotografo e il punto di vista di S. si sono presi per mano immortalando un momenti intimo di gioco e scherzo tra una operatrice e un bambino. Malgrado sia quasi possibile sentire le grida di eccitazione, la foto è silenziosa e l'atto stesso del fotografare la trasforma in un momento di riflessione che interroga chi la guarda più di quanto potrebbero fare le parole.
Spero di continuare la mia collaborazione come zio fotografo per raccontare sempre meglio cosa è una casa famiglia, il lavoro complesso che vi si svolge, il dolore e la sua elaborazione, la gioia, il gioco, l'impegno, la speranza, insomma.... Ain Karim.
venerdì 28 aprile 2017
Progetto Caleidos -- Marzo 2017
A Marzo mi è stata offerta l'opportunità di partecipare con le foto alla costruzione del nuovo sito di Caleidos, un laboratorio artigianale di vetrate d'arte che ormai opera da molto tempo a Roma, a Centocelle (www.vetratedarte.com). Il vetro, quando è oggetto di una elaborazione artistica, interagisce con i colori e con la luce degli ambienti dando loro vita e traendo vita da essi, in una interazione magica e sempre mutevole. La deformazione delle immagini contrasta con la durezza del materiale e con l'eleganza delle composizioni di colori e linee per dare una sensazione di liquidità, di movimento e scomposizione.
Per questo è riduttivo fotografare i prodotti del lavoro degli artigiani del vetro come se fossero oggetti, al di fuori del loro rapporto con la luce e i colori. E questa è una sfida per il fotografo che è molto entusiasmante e che ho cercato di cogliere e sono grato a Sonia e Fabrizio, i maestri artigiani di Caleidos, per avermi dato l'occasione di fare questa sperimentazione, in cui ho cercato di trasformare le difficoltà in potenzialità espressive.
Per esempio non togliere la trasparenza magari facendo le foto di una vetrata su uno sfondo bianco, ma valorizzare le suggestioni che la luce in trasparenza creava, come per esempio in questa foto fatta sullo sfondo della strada.
Oppure sfruttando le distorsioni della luce prodotte da un modulo di vetrata posto di fronte all'obbiettivo:
Oppure, giocando con la profondità di campo, esaltare il gioco dei colori e delle luci e delle ombre
Mi è sembrato bello anche inventare ritratti cui la trasparenza dava un tocco di magia
Ma chi c'è dietro questa magia del vetro? Quale lavoro? E' sempre bello fotografare l'intensità della creazione artistica nelle espressioni del volto, nelle mani "che sanno", nei rapporti tra le persone...
In ogni caso per apprezzare questa realtà conviene andare a visitarla... o almeno a visitare il suo sito:
Era una piovosa domenica di una precoce primavera del 2017
Autoritratto. Foto scattata con iphone 6 nel 2016.
Beh ci riprovo con questo benedetto Blog! Penso che il coraggio (o la faccia tosta) me lo darà il fatto di potere ora, dopo un po' di studio e di pratica, comunicare con le immagini. Le immagini possono essere false, retoriche, ingannevoli, inutili e vuote come le parole. Come per le parole, dipende dall'uso che se ne fa. Ma in modo diverso. Sto parlando in particolare della fotografia, che da un po' di tempo mi appassiona in modo particolare. La trovo uno strumento potente di ricerca, di relazione, di espressione e a mio avviso, come ogni arte, riesce a produrre delle sintesi che le parole, disposte in modo lineare, soprattutto quando sono ordinate in un discorso, riescono ad eguagliare a fatica. Forse solo la poesia...
Quindi ora procederò così, senza pretese e senza puntare ad avere seguaci e visitatori, ma solo per amore di condividere solo le mie esperienze e magari trovare compagni di viaggio tra i tanti appassionati:
Nei miei post comunicherò esperienze e riflessioni personali soprattutto per quanto riguarda la mia esperienza fotografica. Queste esperienze potranno riguardare anche questioni tecniche, ma credo che si riferiranno soprattutto alla fotografia come esperienza, vissuto, ricerca.
Nelle Pagine invece riporterò una selezione delle foto che mi sembrano più significative dei diversi Servizi Fotografici che ho realizzato e che sto realizzando, raccontando la loro storia e il significato che hanno o hanno avuto per me.
Cercherò anche di inserire, senza pretese di completezza, i link che di volta in volta mi sembreranno più interessanti, spiegando quali sono le ragioni, a mio avviso, del loro interesse. Tutto qui, senza pretese. Poi magari se qualcuno leggendo questi post o soprattutto vedendo le foto, vorrà partecipare a questi percorsi di ricerca espressiva in qualche modo, magari! Vedremo di volta in volta cosa proporre!
Autoritratto. Foto scattata con Canon 600D con la tecnica del light painting nel 2016.
Sono passati più di due anni dall'ultimo mio post. Per tutto questo tempo "Sotto il pelo dell'acqua" è rimasto sospeso, in attesa, pur continuando a ricevere visite di sconosciuti che chissà come ci capitavano. Nauseato dal torrente di opinioni che spazzano i media ho apprezzato il valore del silenzio e della ricerca delle domande più che delle risposte. Più o meno questa sensazione l'ho sintetizzata così in uno dei miei tentativi poetici:
Stupendamente straniere
Parliamo, nuove
Scoviamo domande
Le risposte verranno
Stupendamente straniere.
Oppure:
Parole smagate
Parole si sono fermate
Intorno si sono guardate
Si sono voltate smagate
Da strano silenzio stranite
E nude si son percepite
E vergognose e sole
E solo parole
Lanciare opinioni sul blog non mi è sembrata la cosa migliore e più adeguata a questo stato d'animo.
In questi due anni, intanto, la mia vita personale è entrata in una fase di forti cambiamenti e anche il mondo sta cambiando più di quanto sono in grado di rendermi conto. Curare il blog mi è sembrato un impegno pretenzioso. Si tratta di un luogo pubblico, in fondo, rispetto al quale mi sento responsabile.
Ma il significato stesso della parole "responsabilità" ha bisogno di una attenta rivisitazione in queste mutate circostanze personali e del mondo (quello piccolo che mi circonda immediatamente e quello vasto popolato da una moltitudine infinita di enti, persone, azioni e reazioni visibili e invisibili).
Un paio di eventi mi hanno spinto a rivisitare questo blog e a prendere in considerazione l'idea di curarlo di nuovo, in questa fragile terra di mezzo tra ciò che è "privato" e ciò che è "pubblico", tra ci che è piccolo e ciò che è esteso.
Per essere sinceri, improvvisamente mi mi sono reso conto che esso... mi era mancato mancato! Con tutta la labilità dei luoghi virtuali è pur sempre un modo di tracciare segni, che è una attività tipicamente umana, un modo per trasformare l'immediatezza della mia piccola esperienza personale in uno "spazio altro", mobile e incerto, che si muove "sotto il pelo dell'acqua". Un modo anche per riflettere supponendo un ascoltatore simpatetico, anzi una miriade di ascoltatori noti ed ignoti tanto simpatetici da assumersi, in casi estremi, la pena di dirmi "ma che stai dicendo?" o per trovare magari sconosciuti compagni di avventura.
Ho riguardato il blog e nell'insieme non mi è dispiaciuto. Forse non ha bisogno neppure di un restyling, anche se sarà opportuno tenere conto dell'esperienza passata e dei cambiamenti. Quindi, senza pretese, si ricomincia!
Foto: Franziscus
A illustrazione di questo post ho inserito le foto di una scala che ho salito la prima volta quando avevo due anni, nel 1943 e 44, quando Roma era sotto i bombardamenti e io e mia madre fummo ospitati nella casa dei miei nonni a Macerata, mentre mio padre stava a Roma per lavoro, cucinandosi la cena con la carbonella, quando si trovava il carbone. Dopo aver visto e rivisto tante volte quelle scale nel corso degli anni successivi, finalmente questa estate, giocando con la macchina fotografica, le ho riscoperte, ho riscoperto la loro eleganza ma soprattutto la ricchezza dei punti di fuga che offrivano quasi come le litografie di Escher, e le ho così riviste con occhio di bambino e ho potuto riprendere contatto con alcune emozioni di quei primi anni di vita: il senso di mistero, le angosce di mia madre, la mancanza di mio padre, lo sfondo della guerra che non potevo capire che cosa fosse perché ci ero nato dentro e perché ero troppo piccolo per "vedere" oltre il ristretto cerchio della famiglia.
La fotografia mi ha permesso di riprendere contatto con le mie stesse emozioni, con il mio occhio bambino, come per altri versi la poesia e, forse, spero, questo blog.
Scorcio di Glorenza (Foto Franziscus, Agosto 2013)
Fine d'estate, è tempo di bilanci: quante cose nuove ho imparato, quanti luoghi nuovi ho visto, quante persone ho conosciuto, quante storie ho incrociato? Come sono cambiato?
Una delle storie che ho conosciuto e con cui voglio riprendere i post del blog dopo la pausa estiva è quella del processo ai topi di Glorenza.
Cosa è Glorenza, innanzi tutto? Oggi è una importante attrazione turistica della Val Venosta,
vicino all'imbocco della strada che sale allo Stelvio dalla Val Venosta, appunto, perché rappresenta in modo perfettamente conservato un esempio di borgo medievale più unico che raro. Non è dell'interessante storia di Glorenza però che voglio parlare in questo post, salvo ricordare che il suo sviluppo si dovette in buona misura al trasferimento (a metà circa del 1400) entro le sue mura del tribunale civile, che prima era a Malles. E' proprio di un processo che voglio parlare, che non è affidato solo alla leggenda ma è proprio consegnato ad atti e scritture che possono essere consultati (purtroppo io non lo ho potuto fare personalmente quindi mi baso sulle informazioni che circolano a godimento dei turisti e dei curiosi).
Il 21 ottobre 1519 certo Simone Fliess di Stelvio, in rappresentanza dei suoi compaesani, sporse querela presso tribunale di Glorenza contro i topi che in gran numero "arrecavano evidenti danni ingenti alla campagna" e contro i quali non si sapeva più cosa fare. Già c’era poco da mangiare ed ora si aggiungevano anche queste bestie che distruggevano il raccolto "non permettendo nemmeno di poter versare i tributi per Glorenza". Il giudice era Wijhelm Hasslinger. L'oggetto della controversia sembra essere la responsabilità dei topi per il mancato pagamento dei tributi, non potendo la povertà dei contadini essere addotta a ragione sufficiente, dati i tempi. Il giudice avvia allora un processo vero e proprio contro i roditori sia per stabilire la loro colpevolezza che per sanzionare il loro comportamento e prendere le decisioni del caso. Mi sembra che l'oggetto dell'accusa ai topi fosse quella di rubare non tanto ai contadini, quanto al signore feudale, un'accusa molto grave quindi in cui si chiedeva che i topi venissero condannati al posto dei contadini. Il processo si svolge regolarmente: il giudice nomina oltre a un avvocato dell'accusa (in rappresentanza della città, tale Minig Schwarz) un avvocato difensore dei topi, nella persona di Hans Grienenber di Glorenza, cui quindi si riconosce personalità giuridica e conseguentemente il diritto a stare in giudizio. In tal modo si dà soddisfazione ai contadini che appunto indicavano nei topi i responsabili del furto dei beni che avrebbero essere consegnati come tassa feudale e minacciavano, in caso che non fosse riconosciuta tale responsabilità, di abbandonare in massa il paese rompendo il patto feudale, cosa allora non di piccolo conto. La causa, la cui prima udienza si tenne il 26 ottobre 1519 durò sei mesi e mezzo e andò a sentenza il 2 maggio 1520, con numerose udienze in cui si sviscerarono tutti gli aspetti della intricata questione sia dal lato dell'accusa che della difesa. Venne infatti da un lato riconosciuto il danno arrecato dai topi, descritti come animaletti fastidiosi che cronicamente infestavano il paesino di Stelvio danneggiandone gli abitanti soprattutto per quanto riguarda i cereali con cui veniva pagato il tributo (misurato in covoni); fu condannato quindi il loro comportamento e si riconobbe che essi erano meritevoli di una condanna esemplare da parte della città. Nello stesso tempo la difesa riuscì a dimostrare che, d'altra parte, i topi avevano svolto una funzione positiva nell'ecologia del paese, mangiando larve di insetti e concimando la terra. Per cui, se i loro furti ai danni dei contadini (e del feudatario) rimanevano tali, almeno andavano concesse loro delle attenuanti. La sentenza fu salomonica. I topi furono condannati non a morte ma ad abbandonare il paese, all'esilio quindi, e per consentire l'esecuzione della sentenza fu costruito un ponte sull'Adige. Inoltre il giudice, in riconoscimento dei meriti ecologici dei roditori, ma anche in osservanza delle regole della guerra cavalleresca, immagino, concesse loro il diritto a non subire danni durante l'esodo, e quindi un salvacondotto e una moratoria di 14 giorni perché potessero portare con sé i figli piccoli, oltre ai topi ammalati e le femmine gravide, evitando che fossero assaliti da cani e gatti (che dovevano dunque essere rinchiusi per la durata di tutti i 14 giorni di moratoria). Alla popolazione dei roditori vennero cioè concessi i diritti delle armi, come una guarnigione assediata dopo la resa. In tal modo i topi venivano condannati, i loro diritti riconosciuti e preservati, e anche gli interessi del feudatario erano salvati:.... i contadini non avrebbero potuto più incolpare i topi del mancato pagamento delle imposte perché essi erano stati giuridicamente esiliati.. .con sentenza passata in giudicato.
Questa mia interpretazione del famoso processo dei topi non corrisponde esattamente a quella dei libretti per turisti che invece sottolinea la mitezza della sentenza nei confronti dei topi. Tengo però conto che solo sei anni dopo questa sentenza una rivolta degli stessi contadini (sempre per la questione dei tributi) venne soffocata nel sangue, con condanne molto meno miti di quelle comminate ai topi. Ma anche se la mia interpretazione in termini politici della sentenza e dello stesso andamento del processo (degna del Mistero Buffo di Dario Fo) potrebbe apparire "di parte", rimane l'interesse giuridico per quel considerare i topi - nemici tradizionali dei contadini, e quindi oggetto di una pessima stampa - che schifo!- che ancora li distingue, in peggio, da criceti e furetti - quel considerare i topi, dicevo, soggetti giuridici, titolari di diritti e parte integrante del sistema ecologico. Il problema che mi pongo è quello della personalità giuridica di entità non umane e quindi della loro possibilità di difendersi in giudizio. Come è bel noto, a certe condizioni, la personalità giuridica non è limitata alla soggettività umana. Qualsiasi società o impresa ha una personalità giuridica, è soggetto di diritto e di doveri, di responsabilità contrattuali, ecc. D'altra parte a molti umani fu negata nel passato una personalità giuridica, come gli indiani d'America o le persone soggette alla schiavitù: derubricati da umani a cose, oggetti, o animali privi dunque di anima. Oggi si pone il problema (l'esigenza) del riconoscimento della personalità giuridica a entità nuove: non solo gli "utenti" e i "consumatori", i malati, che hanno un loro "tribunale", o dove non ce l'hanno hanno studi di avvocati aggressivi o di compagnie assicurative, ma anche gli animali: si pensi alla vivisezione e agli esperimenti di laboratorio su animali, tra cui naturalmente i topi; ma anche alle balene foche e alle specie animali in estinzione, agli alberi e alle foreste più o meno pluviali alle diverse componenti dell'ecosistema, al paesaggio, fino a umani non ancora nati, come le "generazioni future". Quale avvocato d'ufficio avrà l'abilità di Hans Grienber nel tutelare i loro interessi? E i giudici terranno in effettivo riguardo questi diritti e sulla base di quale diritto? Oppure ricorreranno a giudizi salomonici "pelosi" anche se raffinati, come quello sentenziato da Wijhlem Hasslinger? Ma ancora, il rispetto dei diritti di queste entità è avvertito sempre di più come una nuova frontiera dell'etica e anche dell'economia: i lavoratori diventano stakeholder, alla pari degli azionisti, dei fornitori, dei clienti, alla pari delle generazioni future e del territorio. Penso che si ponga un enorme problema di rappresentanza che riguarda tutta la società civile, non solo la democrazia politica. La frontiera dell'etica, oltre che del diritto, vacilla di fronte ad una serie di ipocrisie, quali quelle nei confronti delle sofferenze inflitte agli esseri viventi per quelli che potremmo definire facilmente futili motivi (si consideri il bellissimo reportage/saggio di David Foster Wallace "Considera l'aragosta" che ragiona sulle argomentazioni etiche che ci permettono di non considerare il dolore dell'aragosta vero dolore e quindi ci legittimano ad ucciderle immergendole ancor vive nell'acqua bollente: lo scenario è quello della fiera dell'aragosta in una città del Main, dominata da enormi pentoloni fumanti, l'inferno dell'aragosta potremmo dire: arriveremo a parlare delle aragoste come gli stakeholder dei buongustai così come i lavoratori possono essere considerati stakeholder dei capitalisti?) Insomma, cosa ci insegnano i topi di Glorenza?
Il mio post precedente voleva sottolineare non solo il coraggio di Malaia, ma anche la grande autorevolezza che le sue parole, il suo modo di porsi e di esprimersi, il suo sguardo, tutta la sua presenza, esprimevano La sua statura fisica di 1,47 e la sua giovanissima età esaltavano ulteriormente questa autorevolezza. La domanda che mi facevo era: da dove proveniva questa autorevolezza. La risposta che davo era dal suo essere portavoce di una forza nuova che a livello globale si sta innalzando dai bambini, dai giovani, dalle donne, una forza che era esaltata dalla sua fragilità fisica: si possono schiacciare tutti i fiori ma non si può arrestare la Primavera. Il suo stesso vestito, lo scialle di Benazir Bhutto, costituisce un riferimento di continuità, un raccogliere il testimone, di una Primavera che non può essere arrestata anche se si schiacciano i singoli fiori.
Ma Malaia ci ha dato anche una lezione: in modo autorevole ha tracciato uno scenario di riferimento per un programma educativo di base: riferimenti religiosi, innanzi tutto, Maometto, Gesù, Buddha, indicati come "maestri della compassione"; riferimenti all'eredità e alla direzione del cambiamento, Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammad Ali Jinnah (il "padre" del Pakistan); riferimenti alla filosofia e al metodo della non violenza, Ghandi, Bacha Khan (il "Ghandi pakistano) e Maria Teresa di Calcutta; e l'insegnamento del perdono, appreso dai suoi genitori. Malaia, nel momento in cui ha intimato ai potenti di sviluppare tramite l'educazione il diritto all'uguaglianza, ha tracciato un programma educativo che mi sembra dovrebbe essere preso in seria considerazione nelle aule di tutto il mondo e nelle famiglie di tutto il mondo, i pilastri di un nuovo curriculum, un curriculum che tra l'altro costringe alla riflessione sui grandi nodi etici del '900 e le battaglie politiche che intorno a questi si sono realizzate e che oggi dovrebbero essere rivisitate. Credo che molti di noi in Italia e nel mondo occidentale, educati alla non-conoscenza di riferimenti non eurocentrici, si siano domandati chi mai fossero Bacha Khan e soprattutto Muhammad Ali Jinnah (che tra l'altro politicamente non erano schierati sulle stesse posizioni negli anni '30, quando si confrontavano diverse linee sull'indipendenza e la nascita della nazione indiana e pakistana) o forse non se lo sono domandati, ma hanno glissato catalogando il riferimento ad una nota esotica. Vorrei allora fornire due citazioni di Muhammad Ali Jinnah (pescate, lo confesso, nella rete):
"Ho sempre sostenuto che nessuna nazione può mai essere degna della sua esistenza se le sue donne non stanno accanto agli uomini. Nessuna lotta può avere successo se le donne non partecipano accanto agli uomini. Ci sono due poteri nel mondo: uno è la spada, l'altro è la penna. C'è una grande competizione e rivalità tra questi due poteri. Ma c'è un altro potere più forte di entrambi, quello delle donne" (Discorso al Islamia College for Women, 25 Marzo 1940)
e
"Noi siamo vittime di costumi diabolici. E' un crimine contro l'umanità che le nostre donne siano ammutolite all'interno delle quattro mura delle case come prigioniere. Non c'è in alcun luogo una sanzione per la deplorevole condizione in cui le nostre donne devono vivere" (Discorso al Meeting of the Mulsim University Union, 10 Marzo, 1944).
Credo che se prendiamo i riferimenti di Malaia non come richiami di comodo, se non le facciamo il torto di aver voluto fare un discorso di un opportunismo ecumenico per far passare il suo messaggio, ma li prendiamo sul serio, siamo costretti ad affrontare di petto molti luoghi comuni e a considerare, alla luce del nuovo movimento globale di cui Malaia si è fatta autorevole portavoce, anche il difficile tema del pluralismo. Il curriculum che Malaia prospetta per l'education del 2000 non è una passeggiata tra le nuvolette del new age globale, ma un percorso di sviluppo, di allargamento di visione, di apprendimento allargato.
A ben vedere l'autorità di Malaia e il suo insegnamento non nasce solo dal nuovo movimento sociale e culturale e dall'onda lunga dei movimenti del '900 da lei richiamati, ma anche dalla tribuna delle Nazioni Unite da cui lei è stata invitata a parlare. Non bisogna sottovalutare, come fosse orpello di convenienza, i suoi ringraziamenti iniziali alle autorità, a cominciare dal Segretario Generale Ban Ki-Moon. L'autorità e l'insegnamento di Malaia sono parte di una battaglia politica globale sull'educazione, sui diritti delle donne, sulle nuove frontiere dell'uguaglianza nel mondo di oggi, dove chi ha responsabilità di governo, tutte le autorità e tutti i cittadini del mondo sono chiamati a schierarsi.
I mass media parlano dell'eroismo di questa ragazza. Nel discorso che ha tenuto all'ONU a me ha colpito soprattutto la sua autorevolezza. Una autorevolezza che deriva dalla sua personale testimonianza e nello stesso tempo dal suo essere veramente "porta-voce", espressione di una nuova cultura globale di liberazione, uguaglianza, diritti di cui sono protagonisti milioni di persone e in particolare bambini e donne nei villaggi e nelle città di tutto il globo e migliaia attivisti sociali, insegnanti, medici.
Questa Voce, con tutta la sua autorevolezza e fermezza, è stata espressa dalla voce di Malala, vestita con il sahari di Benazir Bhutto, a rivendicare il carattere fondamentale della "causa dell'istruzione" per realizzare i diritti all'uguaglianza, alla dignità, alla pace, a cogliere le opportunità per tutti i bambini e i giovani ma in particolare per le bambine e le donne. Questa voce ci ha chiamato alla responsabilità e all'unità dell'impegno.
"Because we are all together, united for the cause of education. And if we want to achieve our goal, then let us empower ourselves with the weapon of knowledge and let us shield ourselves with unity and togetherness.
In the name of God, The Most Beneficent, The Most Merciful.
Honourable UN Secretary General Mr Ban Ki-moon,
Respected President General Assembly Vuk Jeremic
Honourable UN envoy for Global education Mr Gordon Brown,
Respected elders and my dear brothers and sisters;
Today, it is an honour for me to be speaking again after a long time. Being here with such honourable people is a great moment in my life.
I don't know where to begin my speech. I don't know what people would be expecting me to say. But first of all, thank you to God for whom we all are equal and thank you to every person who has prayed for my fast recovery and a new life. I cannot believe how much love people have shown me. I have received thousands of good wish cards and gifts from all over the world. Thank you to all of them. Thank you to the children whose innocent words encouraged me. Thank you to my elders whose prayers strengthened me.
I would like to thank my nurses, doctors and all of the staff of the hospitals in Pakistan and the UK and the UAE government who have helped me get better and recover my strength. I fully support Mr Ban Ki-moon the Secretary-General in his Global Education First Initiative and the work of the UN Special Envoy Mr Gordon Brown. And I thank them both for the leadership they continue to give. They continue to inspire all of us to action.
Dear brothers and sisters, do remember one thing. Malala day is not my day. Today is the day of every woman, every boy and every girl who have raised their voice for their rights. There are hundreds of Human rights activists and social workers who are not only speaking for human rights, but who are struggling to achieve their goals of education, peace and equality. Thousands of people have been killed by the terrorists and millions have been injured. I am just one of them.
So here I stand... one girl among many.
I speak – not for myself, but for all girls and boys.
I raise up my voice – not so that I can shout, but so that those without a voice can be heard.
Those who have fought for their rights:
Their right to live in peace.
Their right to be treated with dignity.
Their right to equality of opportunity.
Their right to be educated.
Dear Friends, on the 9th of October 2012, the Taliban shot me on the left side of my forehead. They shot my friends too. They thought that the bullets would silence us. But they failed. And then, out of that silence came, thousands of voices. The terrorists thought that they would change our aims and stop our ambitions but nothing changed in my life except this: Weakness, fear and hopelessness died. Strength, power and courage was born. I am the same Malala. My ambitions are the same. My hopes are the same. My dreams are the same.
Dear sisters and brothers, I am not against anyone. Neither am I here to speak in terms of personal revenge against the Taliban or any other terrorists group. I am here to speak up for the right of education of every child. I want education for the sons and the daughters of all the extremists especially the Taliban.
I do not even hate the Talib who shot me. Even if there is a gun in my hand and he stands in front of me. I would not shoot him. This is the compassion that I have learnt from Muhammad-the prophet of mercy, Jesus christ and Lord Buddha. This is the legacy of change that I have inherited from Martin Luther King, Nelson Mandela and Muhammad Ali Jinnah. This is the philosophy of non-violence that I have learnt from Gandhi Jee, Bacha Khan and Mother Teresa. And this is the forgiveness that I have learnt from my mother and father. This is what my soul is telling me, be peaceful and love everyone.
Dear sisters and brothers, we realise the importance of light when we see darkness. We realise the importance of our voice when we are silenced. In the same way, when we were in Swat, the north of Pakistan, we realised the importance of pens and books when we saw the guns.
The wise saying, “The pen is mightier than sword” was true. The extremists are afraid of books and pens. The power of education frightens them. They are afraid of women. The power of the voice of women frightens them. And that is why they killed 14 innocent medical students in the recent attack in Quetta. And that is why they killed many female teachers and polio workers in Khyber Pukhtoon Khwa and FATA. That is why they are blasting schools every day. Because they were and they are afraid of change, afraid of the equality that we will bring into our society.
I remember that there was a boy in our school who was asked by a journalist, “Why are the Taliban against education?” He answered very simply. By pointing to his book he said, “A Talib doesn't know what is written inside this book.” They think that God is a tiny, little conservative being who would send girls to the hell just because of going to school. The terrorists are misusing the name of Islam and Pashtun society for their own personal benefits. Pakistan is peace-loving democratic country. Pashtuns want education for their daughters and sons. And Islam is a religion of peace, humanity and brotherhood. Islam says that it is not only each child's right to get education, rather it is their duty and responsibility.
Honourable Secretary General, peace is necessary for education. In many parts of the world especially Pakistan and Afghanistan; terrorism, wars and conflicts stop children to go to their schools. We are really tired of these wars. Women and children are suffering in many parts of the world in many ways. In India, innocent and poor children are victims of child labour. Many schools have been destroyed in Nigeria. People in Afghanistan have been affected by the hurdles of extremism for decades. Young girls have to do domestic child labour and are forced to get married at early age. Poverty, ignorance, injustice, racism and the deprivation of basic rights are the main problems faced by both men and women.
Dear fellows, today I am focusing on women's rights and girls' education because they are suffering the most. There was a time when women social activists asked men to stand up for their rights. But, this time, we will do it by ourselves. I am not telling men to step away from speaking for women's rights rather I am focusing on women to be independent to fight for themselves.
Dear sisters and brothers, now it's time to speak up.
So today, we call upon the world leaders to change their strategic policies in favour of peace and prosperity.
We call upon the world leaders that all the peace deals must protect women and children's rights. A deal that goes against the dignity of women and their rights is unacceptable.
We call upon all governments to ensure free compulsory education for every child all over the world.
We call upon all governments to fight against terrorism and violence, to protect children from brutality and harm.
We call upon the developed nations to support the expansion of educational opportunities for girls in the developing world.
We call upon all communities to be tolerant – to reject prejudice based on cast, creed, sect, religion or gender. To ensure freedom and equality for women so that they can flourish. We cannot all succeed when half of us are held back.
We call upon our sisters around the world to be brave – to embrace the strength within themselves and realise their full potential.
Dear brothers and sisters, we want schools and education for every child's bright future. We will continue our journey to our destination of peace and education for everyone. No one can stop us. We will speak for our rights and we will bring change through our voice. We must believe in the power and the strength of our words. Our words can change the world.
Because we are all together, united for the cause of education. And if we want to achieve our goal, then let us empower ourselves with the weapon of knowledge and let us shield ourselves with unity and togetherness.
Dear brothers and sisters, we must not forget that millions of people are suffering from poverty, injustice and ignorance. We must not forget that millions of children are out of schools. We must not forget that our sisters and brothers are waiting for a bright peaceful future.
So let us wage a global struggle against illiteracy, poverty and terrorism and let us pick up our books and pens. They are our most powerful weapons.
One child, one teacher, one pen and one book can change the world.